FACTO è rimasta molto legata al percorso di Anna Capolupo. L’artista ha condiviso con noi riflessioni, esperienze e il “fuoco” del suo lavoro attuale: le nature morte. Anna ha realizzato ad agosto 2019 la “mostra-non-mostra” Un motivo costante, preceduta da una residenza. La cura era di Christian Caliandro (che già abbiamo ospitato all’interno di #FabbricareFiducia).

La sua poetica, originale e personale, ha saputo ben collocarsi in un ambiente come il nostro, dove il recupero e la ricontestualizzazione sono concetti chiave.

Ma veniamo a noi.

1) Il Lockdown è per stato molti (e quindi anche molti artisti) un momento per riflettere sul proprio percorso. Lo è stato anche per te? Se sì come, soprattutto in termini di stile e ricerca, inquadramento del proprio ruolo di artista nella società contemporanea, prospettive. O altrimenti, se no, perché?

Si è stato un momento di riflessione, la mia ricerca è però andata avanti normalmente. Solo si è fatta più intensa. Molto tempo a disposizione e poche distrazioni, anche se non era un momento spensierato, anzi tremendo.

Ho approfondito il tema delle nature morte, ed ho iniziato a dipingere la figura ad olio, corpi, ritratti, che è per me cosa nuova, ci sono ancora dentro.

Anna Capolupo, Still life 2019, mixed media on wood, cm 28×35

Nonostante il lockdown sia finito o quasi, il mio modo di vivere è rimasto più o meno lo stesso. Riflessioni sulla figura dell’artista molte durante questi mesi. Sul web ho visto accesi dibattiti poi finiti lì, soprattutto sulla nostra sopravvivenza in un paese che non si “cura” di noi. Questa per ora è anche la mia preoccupazione principale. Vedremo se qualcosa davvero cambierà, se anche il modo di lavorare nostro come “artisti” è pronto a cambiare e non solo quello del sistema.

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Nel corso del 2019 hai fatto tre residenze: una a San Cesareo, una da noi e una a New York. Questo tipo di esperienza sembra essere una delle tendenze più seguite ultimamente sia dagli artisti sia dai promotori culturali che dai gestori degli spazi messi a disposizione. Puoi raccontarci le tue esperienze?

Tre esperienze e tre residenze molto diverse, una condivisa insieme a molti altri pittori come me, il Simposio alla Fondazione Lac o le mon a San Cesareo. Mi ha fatto riflettere molto sul mio lavoro perché da tempo non avevo un confronto fuori dal mio studio, è stato stimolante e emotivamente molto forte.

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Quella da voi a Montelupo è stata l’opportunità che desideravo e di cui avevo bisogno per scardinare delle strutture profonde del mio lavoro, delle rigidità, e così è stato.

Con Christian mi sono trovata bene ed è stato molto intenso, lui aveva capito perfettamente di cosa avevo bisogno, di distruggere per ricostruire, per rinascere, per non restare legata a una forma che ti fa sentire al sicuro.

New York è stata un’esperienza bellissima, una altro pianeta come si dice! La residenza era in realtà a due ore dalla grande mela, immersa in un bosco, in una riserva naturale.  Era bello potersi vivere le due condizioni, città e natura.

Lì, ho lavorato sulla natura morta principalmente (anche questo argomento era stato aperto da Facto dove avevo dipinto il mio primo vaso di fiori).

Per cui ho iniziato a costruirmi gli oggetti che poi sarebbero stati parte della mia natura morta, insieme a piante, palle da bowling, pezzi di legno ecc.. tutto quello che trovavo in residenza.

Formati piccoli che potevano stare in valigia per poterli riportare in Italia. Invece l’installazione centrale è lì nella Guest House della residenza.

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Sono molto soddisfatta di quel lavoro, si chiama Odalisca.

Insieme a me c’erano altri 4 artisti, tutti con il proprio bagaglio e cose diverse da dire, land art, scultura, pittura, design, performance. E’stato un mese straordinario, nuove conoscenze, scambi di culture differenti, stimolante vivere New York, anzi inebriante.

3) Domanda interessata. Pensiamo che sia per te – come per ogni artista – che per noi, in quanto “concessionari”, gli spazi siano importantissimi per la creatività e l’ispirazione. Attualmente al centro di un dibattito sulla loro destinazione e sul loro utilizzo sempre più esteso, pensi che un progetto come FACTO possa essere utile sia agli artisti che alla comunità locale? Se sì in che modo?

Si penso assolutamente che uno spazio come quello di Facto sia necessario e utile sia per l’artista che per la comunità.

Per me lo è stato. Avere la disponibilità di lavorare in uno spazio come quello della Gallery e a disposizione anche tutto quello che è Facto, la palazzina, il bistrò, l’appartamento, le persone è qualcosa di molto raro.

La libertà che mi hanno concesso mentalmente non è stata da poco, e mi ha aiutata molto nella creazione.

Penso che faccia bene anche alla comunità, magari all’inizio non è sempre facile, ma esiste un’educazione alla bellezza, e penso che posti come Facto debbano esistere per questo. Io ci credo.

In che modo non lo so, ogni artista con il proprio linguaggio dovrà capire che tipo di contributo può dare alla comunità, la mia residenza è stata estiva, ma m’immagino che altri artisti durante l’anno ( forse qualcuno l’ha già fatto) possano creare degli scambi con la comunità, dai laboratori ai workshop, magari con le scuole del posto, o per adulti, si possono fare tante cose e la creatività non manca.