Ligama non ha bisogno di particolari presentazioni. Molti sono i muri e le pareti che grazie ai suoi interventi hanno acquisito una vita e un senso nuovi. Pochi sono i dubbi sul suo talento e sulla riconoscibilità del suo stile.

Montelupo e Facto si sentono un po’ orfani da quando una frana ha portato via il suo contributo che già valorizzava la parete di contenimento di un poggio altrimenti anonimo. E da qui si parte con le domande, ringraziandolo per il suo tempo.

Ligama durante l’intervento artistico sulla parete di contenimento (Maggio 2019)

 

La parete a intervento terminato

 

La parete subito dopo il crollo, novembre 2019 (fonte www.gonews.it)

 

il “muro” oggi

1) Come hai appreso e come hai reagito alla notizia del crollo del “tuo” muro?

Mi ricordo perfettamente. Ero a Roma e mi arriva questa immagine,

il muro non c’è piu, solo fango, e la testa inclinata sulle macerie quasi come se essa stessa abbia resistito alla frana.

Io rimango pietrificato; apro Facebook e si susseguono articoli, post, commenti, messaggi. Un incubo. Sento Silvia, distrutta. Arrivano decine e decine di messaggi e chiamate da giornalisti. Ma non c’è nessuna voglia di parlare. Solo sconforto.

Ringrazio il cielo sia accaduto la notte, perché con la mole di persone che di solito transita sotto quel fragile muro, difficilmente si sarebbe scampati alla tragedia.

Ligama – ULM

2) Nel tuo percorso artistico la connessione tra ambiente e opera realizzata è sempre inscindibile. Ed è pur vero che sono gli spazi aperti, pubblici, quelli in cui meglio questa connessione si manifesta. Ora, dato che mi hai chiesto esplicitamente di non parlare del virus quando abbiamo concordato l’intervista, provo a riformulare la domanda: qual è il tuo rapporto artistico con gli spazi chiusi?

Mah, guarda, non penso ci sia una differenza tra spazi aperti e spazi chiusi in riferimento al mio lavoro ovviamente.

Piuttosto tra superfici piane o articolate.

Io mi rapporto con lo spazio, quindi il mio intervento sarà subordinato agli elementi che prevalgono in una visione generale dell’ambiente.

Il paesaggio è l’elemento chiave; nel mio progetto ULM non inserisco mai figure, perché la visione panoramica è così piena di informazioni che aggiungerne altre sarebbe quasi un errore a mio modo di vedere.

Mi limito ad evidenziare questi oggetti sparsi intervenendo direttamente sul tempo storico degli stessi.

Trovo inoltre interessante la diversa struttura tra le superfici piane e quelle articolate; è lì che si declina il mio intervento. Questo cercherà di avvolgere in una continuità pittorica, quasi sottomettendosi ad una superficie tridimensionale e complessa. Oppure potrà imporsi come soggetto principale su una superficie piana.

Clouds, Chiesa del Crocifisso, Caltagirone 2016

3) Anche se a prima vista le tue opere possono sembrare estremamente accessibili, sono incuriosito dalle molte citazioni che contengono: da David Foster Wallace a Michelangelo, dal linguaggio binario alla metafisica. Qual è in questo universo ispirativo il minimo comun denominatore?

Questa è la domanda da un milione!

La tecnologia è sicuramente uno strumento di indagine che accomuna tutte le mie opere;

dai pixel che vivisezionavano le immagini all’algoritmo che fornisce le palette su cui lavorare. Ma ad un certo punto la figura ha preso il sopravvento, non ho saputo resistere, in fondo sono pur sempre un pittore!

Quindi direi che – almeno per adesso- il minimo comune denominatore è l’incoerenza, il dubbio, l’incertezza.

Ammiro chi riesce a mantenere un’unica scelta pittorica nel proprio stile, ma per me al momento è davvero un’utopia.

Non a caso tutti i lavori realizzati negli ultimi due anni fanno parte della serie Incoherent Paintings; un’incoerenza dovuta al cortocircuito tra l’intenzione e il messaggio, tra il substrato e la percezione, tra il dentro e il fuori, tra il soggetto e l’oggetto, tra il figurativo e l’astratto.

E’ un errore farli convivere? Ad un certo punto bisogna scegliere? Nella pittura si deve essere carne o pesce? Beh, queste sono la causa principale della mia insonnia.

maria antonietta 100×120 cm quarzo su tela

4) Questa è una domanda a piacere: a cosa stai lavorando?

Ho appena finito forse il lavoro più grande finora realizzato in vita mia, grazie all’intuizione di un giovane e coraggioso imprenditore siciliano.

Una superficie di duemila metri quadrati sulle quali cerco di parlare della dottrina di Empedocle sulla creazione del mondo, dell’uomo e del pensiero.

Tra imprevisti e lockdown, ci sono voluti più o meno trenta giorni, circa 250 litri di colore, due gru, e un paio di tubetti di voltaren! Non vedo l’ora di inaugurarlo