RE inaugurò con la sua mostra personale HORTUS CONCLUSUS la stagione espositiva di FaCTo, a fine maggio 2018. Abbiamo per questo pensato di esordire ancora con lei questa rubrica.
Beh, comincerei con i convenevoli: cos’è successo in questi due anni?
Ho un bel ricordo di FaCTo.
E’ stata una piacevole esperienza ed è stato un onore per me aver esposto inaugurando questo luogo dotato di grande forza. Sono grata a Giuditta Elettra Lavinia Nidiaci per avermi proposto e aver curato la mostra e a Silvia Greco, che insieme a Sara Bandini, mi ha sostenuta durante l’organizzazione, assecondandomi in qualsiasi necessità.
Dopo Hortus Conclusus non ho realizzato altre mostre personali, ma non perché non ne abbia avuto l’occasione.
Dopotutto quello del 2018 è stato un anno d’oro per me. Avevo alle spalle una importante personale a Roma e prima di FaCTo avevo esposto all’Elephant Paname di Parigi in una mostra curata da Roberto Baciocchi, architetto della nota casa di moda Prada. Nonostante i vari riscontri positivi mi sentivo insoddisfatta, ho scavato in me e ho compreso che non erano le mostre a darmi gli input di cui avevo bisogno.
Ho seguito il mio istinto e mi sono discostata dal contesto espositivo.
Ho preferito indagare sulle mie “infinite possibilità”, un’indagine che va oltre la ricerca artistica.
Avevo bisogno di demolire i miei limiti e le aspettative degli altri e per farlo dovevo mettermi alla prova fuori dai miei contesti usuali. Ho, ad esempio, lavorato il legno realizzando una rielaborazione del concetto di icona durante una residenza artistica a cura di Hansko Visser per la Fondazione Ceda I Olgica e in collaborazione con l’Accademia di Belle Arti di Groningen in Olanda. Sono stata ospitata in una imbarcazione sul canale e ho avuto la possibilità di confrontarmi con la gente del luogo.
Prima ancora sono stata invitata ad Amsterdam in una residenza artistica curata da Federico Bonelli per la fondazione olandese Trasformatorio, dove ho svolto una ricerca sull’identità religiosa di una città che convive con vari culti religiosi.
Precedentemente sono andata in esplorazione in alcuni luoghi della Tuscia, mettendomi alla prova di fronte alle mie paure, superandone alcune.
Credo che il privilegio dell’artista, oltre ad essere ambasciatore di creatività, sia la possibilità di stravolgere, cancellare, riscrivere, cambiare idea e tante altre cose che tanti hanno timore di fare.
In questi due anni ho capito che bisogna chiedersi che cosa si vuole veramente e non che cosa si vole dimostrare agli altri, perché la prima credibilità parte da dentro, poi tutto il resto, come dico sempre, è conseguenza.
Su whatsapp ho appreso del tuo progetto corrente (e che hai chiamato Esperimento di Libertà Temporale) dal fatto che la tua prima risposta è stata: “da me sono le 8.20. Viaggio 3 h indietro” (per la cronaca ti ho scritto alle 11 e 20). Sbaglio a dire che tu sei in questo caso il soggetto dell’opera e il tempo la tela su cui ti stai ritraendo da circa un mese?
La tua è proprio una bella similitudine. Questo esperimento che sto effettuando rappresenta la risposta ad alcuni quesiti che da quando siamo stati costretti a vivere in uno spazio precluso mi sono posta.
Il primo è dovuto al mio personale disadattamento, considerato che io in esilio ci stavo già. Avevo deciso da un po’ di allontanarmi dalla vita sociale per far ulteriore chiarezza sui miei bisogni. Ma se prima che fosse stata ordinata questa reclusione da parte del Governo creavo con fluidità, dopo mi sono trovata costretta a creare per passare il tempo con risultati inconcludenti.
Come quando in accademia ero costretta a creare senza attendere l’ispirazione. Altro problema era la mia inclinazione a non concludere le opere che iniziavo col calar del sole, considerato che la mia vena creativa, che si attiva in genere dopo le 18, veniva distratta dai bisogni primari come mangiare o dormire.
Il terzo punto, fondamentale, è stato quello di chiedermi come un artista avrebbe reagito in queste condizioni, riferendomi soprattutto a quelli che rivolgono la propria ricerca artistica in ambito sociale e politico. Aspettandomi un largo uso di mascherine come simboli di questa situazione, sfruttati per utilizzare la scorciatoia della comprensione,
ho deciso di reagire piuttosto che lamentarmi.
Quindi ho dato la risposta a queste problematiche utilizzando il concetto di tempo. Ho pensato che prima di tutto avevo la necessità di sentirmi libera e se non lo potevo essere nello spazio potevo esserlo nel tempo decidendo in quale tempo stare. Così ho spostato le lancette di tutti i dispositivi elettronici, dell’orologio in cucina e della sveglia in camera da letto tre ore indietro.
L’orario non è stato scelto a caso, questo dovrebbe essere il fuso orario di Atlantide, che secondo quanto sostenuto da Platone dovrebbe giacere nel bel mezzo dell’Oceano Atlantico.
Quindi, oltre a un tempo non tempo ho anche stabilito (e questo grazie al consiglio della persona che vive con me) un luogo non luogo.
Ho scaturito cosi uno strambo esperimento artistico che amo chiamare Esperimento di Libertà Temporale. Una non performance che va oltre i canoni dell’arte contemporanea.
Volevo creare qualcosa di non appendibile, non vendibile e non documentabile ma che in realtà esiste. In questo modo posso dimostrare che il tempo è nostro e possiamo utilizzarlo secondo i ritmi e le esigenze biologiche personali. Io che posso farlo, perché non ho figli da accudire e doveri da adempiere, considero questa non una condizione privilegiata ma un’occasione da sfruttare.
Posso anticipare che forse nulla sta andando secondo i piani:
non lavoro più di notte, anzi la utilizzo per spunti riflessivi leggendo o guardando film e documentari. In realtà non dipingo più perché facendo una chiacchierata con le mie opere mi hanno suggerito che loro non esistono per riempirmi necessariamente il tempo, non sono giullari ma atti che seppur mi divertono posseggono intuizioni profonde. Vivo di più il giorno come se cercassi il sole, e la trovo strana questa cosa, ma adesso mi sento più portata a svolgere azioni che consideravo superflue perché ero troppo fissata a dipingere.
Perciò cucino, curo l’orto e scrivo. L’esperimento prosegue e rifacendomi alla similitudine che hai adottato, provo a immaginare il risultato pittorico del tempo.
Che scadenza ti sei data e cosa ci aspetteremo alla fine?
Sinceramente, preferisco non pensare alla scadenza. Chi mi conosce ogni tanto mi chiede se, finita la clausura, tornerò all’ora “normale”, all’ora “reale”. Confesso che sono stata motivata tante volte in diverse occasioni ad agire da “anormale”. L’ho fatto tutte le volte che l’ho considerata come necessità per convivere in una società di cui mi sento poco appartenente e con questo non intendo determinare chi agisce nel modo giusto e chi no.
Appunto per questo preferisco, nel rispetto di ogni singolo individuo, evadere secondo i miei mezzi e le mie necessità.
Non so se tornerò “normale”
perché in fondo questo distacco temporale sta cominciando a piacermi, questa condizione mi avvicina agli altri.
Si è instaurato un rispetto per il tempo dell’altro, dall’appuntamento telefonico in cui si decide che fuso orario utilizzare alle premure di non disturbare durante il sonno o il pranzo. Sono piccoli segnali che indicano rispetto reciproco.
Per quanto riguarda l’ipotetico esito di questo esperimento e di cosa dovremmo aspettarci, credo che io quello che dovevo fare l’ho fatto e come precedentemente ho affermato, non ho alcuna intenzione di creare opere o documentazione in merito all’esito.
Attraverso questo gesto che ho divulgato su alcuni social, nel mio sito e ad alcune persone care, ho messo in evidenza quanto potere possediamo. Credo che quello che gli altri dovrebbero aspettarsi risiede in loro, a prescindere che abbiano preso in considerazione il mio gesto o meno. Credo che nessuno dimenticherà questi giorni e sono certa che, come accade nelle vicende negative, ne farà tesoro in ogni caso.
Ultima domanda, più o meno la stessa ma rivolta al mondo dell’arte contemporanea: che sia ormai tutto scaduto? Cosa ci aspetterà a riguardo dopo la pandemia?
Mi permetto di rispondere subito con una frase di cui ancora non ho chiara l’attribuzione:
Parla solo quando puoi migliorare il silenzio.
Di opinioni ne abbiamo tutti e previsioni secondo le nostre personali ipotesi pure. E’ assodato che quando si parla di ARTE CONTEMPORANEA vi è un mondo dietro fatto di gente: chi la fa, chi la pubblicizza, chi la vende, chi la giudica, chi la sposta e anche semplicemente chi la guarda.
Però è anche vero che con la parola arte si nominano cose che tra di loro non hanno alcun nesso o paragone.
Tuttavia, tornando alla questione, posso dire da artista che finché la creatività esiste non avremmo nulla di cui preoccuparci. Che sia per l’artista stesso, per il gallerista o per il critico, la creatività muove tutto. Certo, alle volte questa parola può suonare scontata, sottovalutata come la parola amore, ma entrambe posseggono una profonda forza.
L’essere umano possiede la capacità di adattamento, di modificare la propria esistenza per conseguire la migliore condizione per la sua prosecuzione. Questa peculiarità viene mossa dalla creatività. E’ con la creatività che si ha la possibilità di stravolgere il corso dei tempi e non con la costrizione come in questo caso. Avremo bisogno di amore e creatività.
Poiché quando manca la creatività, come l’amore, si sente nell’assenza ed è inevitabile cercarla ma sappiamo anche dove trovarla, che sia assopita o meno essa risiede innata in ognuno di noi.