Anna Capolupo è un’artista calabrese diplomata in pittura all’Accademia di Belle Arti di Firenze. Principalmente dipinge paesaggi urbani, contesti industriali, non luoghi, tutte quelle zone di periferia che sembrano uguali in qualsiasi città, che sono di tutti e di nessuno, luoghi di passaggio. Con la sua personale mostra “Un motivo costante” curata da Christian Caliandro per FACTO a Montelupo Fiorentino, aggiunge alla sua ricerca un aspetto più intimo legato alla presenza-assenza dell’uomo. L’abbiamo intervistata per voi.
Cosa ti attira dei luoghi legati all’abbandono?
Probabilmente la mia curiosità per l’uomo e la sua presenza. Ho iniziato dipingendo oggetti lasciati da mio nonno a casa mia, dove tutto è rimasto intatto dopo la sua morte. È iniziato tutto per necessità, divenuta poi interesse emotivo.
Cosa rappresenta il letto/materasso?
Il letto è luogo di intimità e di presenza nell’assenza: è il luogo in cui trascorriamo il tempo di tutte le nostre notti. Pertanto resta un oggetto muto, anche se solo in apparenza. Lo ricollego a La vita delle cose scritto da Remo Bodei: si parla proprio dell’oggetto come “mediatore” tra le persone, tra visibile e invisibile.
Stai quindi vivendo un momento di passaggio nella tua ricerca artistica?
Potrei chiamarla una fase di “purificazione”: sono alla ricerca di una coerenza estetica di fondo. Per questo ho deciso di riesaminare alcune mie posizioni, come riprendere una figura che ho sempre ritratto in maniera intima senza mai mostrarla.
La residenza artistica a FACTO come ti aiuta in questo momento di passaggio?
In un momento che sembra di “rottura”, legato alla necessità di ricevere una scossa emotiva, la residenza a FACTO coglie un’occasione molto fertile. Non avendo un tema su cui lavorare avrò la preziosa occasione di essere libera. Questa residenza è stata particolarmente introspettiva e di ricerca estetica.
Perché avevi scelto di lavorare direttamente nella galleria in cui è la mostra? Che rapporto c’è tra il luogo dove lavori e il tuo lavoro?
Io lavoro quasi sempre in solitaria. FACTO mi ha proposto una modalità più di condivisione e scambio: la Nuova Galleria mi affascina per il suo essere grezza, perché è simile a spazi e situazioni che spesso ricerco. L’idea di base è che la galleria mi aiuti a trasformare tridimensionalmente ciò che io finora ho solo dipinto. Inoltre le residenze hanno una caratteristica unica: non sai quello che succederà, non sai quale sarà il prodotto finito fino all’inaugurazione e questo spazio continua a darmi input e stimoli che devo cogliere.
Come ti sembra Montelupo?
A dir la verità mi piace! Ci sono molte attività e si respira l’aria dell’artigianalità, sento che c’è più fermento qui che a Firenze, probabilmente anche grazie all’amministrazione.
Che rapporto c’è tra te e il curatore della mostra?
Ci sentiamo costantemente, ci aggiorniamo: io gli mando le foto di quello che sto realizzando e lui mi restituisce nuovi input, il confronto è diretto e il dialogo costante, senza filtri. Ad esempio mi ha consigliato delle letture, come Gilles Clément, Breve trattato sull’arte involontaria. Testi, disegni e fotografie, 2019; Rem Koolhaas, Junkspace. Per un ripensamento radicale dello spazio urbano, 2006.
Quali emozioni vuoi che suscitino le tue opere?
Non voglio niente e non mi aspetto che dall’altra parte ci si emozioni per forza. Principalmente faccio arte per me stessa e non per chi visiterà la mostra; se poi capita che da parte di qualche visitatore ci sia una sorta di presa di coscienza mi rende fiera del mio lavoro, ma non è il mio obiettivo primario. In questa fase mi interessa meno la parte di come viene percepita l’opera dagli altri, mentre mi interessa più il processo con cui realizzo e cosa io sento durante tutte le fasi.
Elena Janniello e Idamaria Franco