di Giuditta Elettra Lavinia Nidiaci
Da anni più nessuno si è occupato del giardino.
Eppure quest’anno – maggio, giugno – è rifiorito da solo,è divampato tutto fino all’inferriata – mille rose,
mille garofani, mille gerani, mille piselli odorosi –
viola, arancione, verde, rosso e giallo,
colori – colori-ali; tanto che la donna uscì
di nuovo
a dare l’acqua col suo vecchio annaffiatoio –
di nuovo bella,
serena, con una convinzione indefinibile.
E il giardino
la nascose fino alle spalle, l’abbracciò,
la conquistò tutta;
la sollevò tra le sue braccia. E allora, a mezzogiorno
in punto, vedemmo
il giardino e la donna con l’annaffiatoio
ascendere al cielo –
e mentre guardavamo in alto, alcune goccedell’annaffiatoio
ci caddero dolcemente sulle guance, sul mento,
sulle labbra.
Con la primavera RE rinasce a FACTO, proprio come suggerisce il poeta Ghiannis Ritsos, in un periodo che avvicina ed interseca maggio con giugno. RE non è la sola a rinascere, con lei rinasce il luogo, più precisamente è l’artista a rinascere per mezzo del luogo, che ella sceglie come suo intimo e personalissimo hortus conclusus. FACTO si veste così dei fiori misti alle foglie che RE porta dalla sua Sicilia, di quei profumi che si legano inscindibilmente ad una commistione di polveri di ceramica, vera, indiscussa ed eccellente regina di Montelupo Fiorentino. La profumata Sicilia si mischia ad una toscanità prorompente e autentica, grezza, tanto concettualmente quanto formalmente è ibrida l’arte di RE, fatta di ritrovamenti, discoperte, di regali del luogo (ne sono esempio i supporti impregnati della sua pittura), della genuinità del “thauma”, la meraviglia che genera la scoperta. Ed è così che RE trasporta il suo mondo siciliano a FACTO, che le dona la ceramica e un labirinto in cui perdersi maritrovarsi sempre; “hortus conclusus” è traducibile in italiano con “giardino recintato”, “facto” in latino rappresenta il dativo e l’ablativo del sostantivo neutro “factum”, traducibilecon “fatto, azione, atto, impresa”, e dunque concretezza, ciò che si potrebbe definire “fattoe finito” e dunque chiuso, proprio come un giardino le cui piante si arrampicano e divampano, ma vengono recintate per proteggerne la bellezza, quella che l’artista come vatepuò disvelare al mondo. L’hortus conclusus era la forma tipica di giardino medievale, legato soprattutto a monasteri e conventi, una zona verde, circondata da alte mura, dove i monaci
di Giuditta Elettra Lavinia Nidiaci
Ghiannis Ritsos, Rinascita
coltivavano essenzialmente piante e alberi per scopi alimentari e medicinali: pressoché sconosciuta era la funzione decorativa, poiché lo sfaldamento dell’impero ed i saccheggi barbarici avevano contrastato la trasmissione dei modelli dei giardini romani e, mancando gli esempi concreti e la letteratura di riferimento, il risveglio dell’interesse per la natura fu lento. Un notevole aiuto era venuto dal mondo arabo e dallo squisito gusto per la coltivazione soprattutto di agrumi, che si era diffuso in tutto il bacino del Mediterraneo, tanto che in dialetto siciliano i frutteti vengono ancora chiamati “giardini”.
Fiori e aromi animavano i giardini arabi, tendendo alla ricerca di un idillio che RE riproduce nella sua installazione site-specific In Eden: con il suo collante invisibile, l’artista riunisce eraccoglie cose e persone, spettatori e artisti, massimizzando la resa di un’entità contemporanea come il coworking nell’arte unita alla storia, mischiando elementi e confondendo i piani, creando una sorta di mistura alchemica preziosa ed inebriante, il cui risultato è più della somma dei singoli elementi.
Così fu descritta la reggia palermitana di Ruggero II, primo re di Sicilia:
Ecco i giardini, cui la vegetazione riveste di vaghissimi palii,
Ricoprendo il suolo olezzante con drappi di seta del Sind! […]
Vedi gli alberi carichi delle frutta più squisite.
L’imperatore Federico II, nipote di Ruggero II, mantenne una erudita corte di artisti e letterati e conservò la tradizione normanna dei giardini, a sua volta desunta da quella araba che l’aveva preceduta.
Radicandosi anche sui colli della Firenze comunale il giardino torna ad essere luogo di svago e di ozio intellettuale come ai tempi della Roma imperiale, un esempio è quello di un giardino che si ritiene fosse ubicato presso l’attuale Villa Palmieri, alle pendici di Fiesole:
Il veder questo giardino, il suo bello ordine, le piante e
la fontana co’ ruscelletti procedenti da quella, tanto
piacque a ciascuna donna e a’ tre giovani che tutti
cominciarono ad affermare che, se Paradiso si potesse
in terra fare, non sapevano conoscere che altra forma
che quella di quel giardino gli si potesse dare.
— (GIOVANNI BOCCACCIO, DECAMERON, INTRODUZIONE ALLA TERZA GIORNATA)
Nel suo omaggio toscano RE espone dieci opere, volutamente identiche nel numero alle giornate del Decamerone, un numero che ci suggerisce completezza ed idealismo, seppur straordinariamente tangibile. È l’artista a scegliere il luogo o è il luogo a scegliere l’artista?Certamente siamo di fronte ad un quantomai autentico e lapalissiano esempio di arte relazionale.